LA PUTIA
No, non è nostalgia. Non è neanche desiderio di ritornare al passato perché sarebbe da stupidi rinunciare al benessere conquistato negli ultimi decenni, è piuttosto un ricordo o una rievocazione di epoche lontane quando noi mazaresi non eravamo così smaliziati e diffidenti come lo siamo adesso.
L’epoca lontana a cui mi riferisco è quella che riguarda gli anni cinquanta e sessanta. Fase di ripresa economica e di cambiamento, fase di conquiste sociali e di innovazioni tecnologiche.
Ancora però , soprattutto nella nostra città, si continuava a vivere senza grossi salti di qualità, si tirava avanti secondo le abitudini acquisite nel periodo precedente, quello della guerra,della fame e dei forti disagi.
Cosa ricordo di quei tempi? La prima cosa che mi passa nella mente è legata al cibo e , facendo delle associazioni mentali, rivisito l’interno di “una putia”. Una putia? Cos’è una putia?
Nessun ragazzino dei nostri giorni riuscirebbe a capire il fascino di una putia. Ipermercati, supermercati, centri commerciali, file di merce messa a bella vista pronta ad essere acquistata , banconi di salumeria o di carne, oggetti vari messi a bella posta nel centro di enormi corridoi con i loro prezzi scontati e superscontati che ti invitano a riempirti la casa di cianfrusaglie di cui potresti fare volentieri a meno , un enorme spreco di cibo e di cose contro la semplicità estrema che si trovava in una putia.
La ricordo bene la putia della Formusa. Una stanza piccolissima nel Corso Umberto dove potevano stare al massimo tre persone e lei, la signora Formusa, dietro al banco, pronta ad esaudire le tue richieste.
-Che vuoi ? Tiravo fuori dalla tasca del vestitino il bigliettino della mamma e dicevo che volevo mezzo chilo di pane. La signora Formusa apriva dall’alto lo sportello di un mobile di legno dipinto d’azzurro che stava alle sue spalle , azzurro così come lo era la vetrina che occupava la metà dell’ingresso e come lo erano i grossi contenitori di farina e legumi posti in bella fila nella parete libera della stanza , e tirava fuori il pane caldo. Un profumo buonissimo si diffondeva allora nella putia e mi veniva voglia di mangiarlo subito quel pane, sbocconcellarlo prima di arrivare a casa mentre camminavo lesta lesta per non sentire troppo il suo calore sotto il braccio.
Nel Corso Umberto c’erano anche altre putie. Più grandi e più ben fornite. Il panino per la scuola lo sapeva fare bene il Marsalese. Lo chiamavano così perché il proprietario era originario di Marsala. Noi mazaresi abbiamo da sempre dato appellativi e soprannomi di riconoscimento alle persone. Quando l’appellativo riguardava un difetto o una qualità negativa si chiamava e si chiama ancora “ingiuria “.
Sempre nel Corso, proprio vicino alla Piazza Mokarta, c’era la spaziosa ed attrezzata putia di Gino Ferro, personaggio conosciuto con il suo vero nome e cognome. In piazza Chinea , don Vitino Cusumano si fregiava dell’appellativo del don e, ricoperto di un grembiulone bianco che arrivava fino ai piedi, esprimeva professionalità e rispetto per il proprio lavoro.
I suoi panini con la mortadella erano famosi e noi giovani davamo la caccia al panino della compagna di classe che, fortunata lei, abitava nella zona e portava in classe tutta la flagranza di un panino acquistato nella putia di don Vitino.
La putia. Qualcosa che non c’è più; così come non c’è più la mia trascorsa gioventù!
martedì 23 giugno 2009
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