Vado a trovare Jamila, una donna tunisina quarantottenne che conosco ormai da venti anni. Avverto nell’aria della sua casa profumi di cibo a cui non sono abituata, ascolto la voce di uno speaker arabo che legge le notizie del telegiornale tunisino e mi sento catapultata di botto in un posto non mio, un posto che non mi appartiene. Tappeti di ogni dimensione sono sparsi a terra fino a ricoprire l’intero pavimento, tende ed arazzi sulle pareti e pochi essenziali mobili nel salotto di casa. Jamila, la padrona di casa, indossa la veste tipica della sua terra lunga fino ai piedi ed in testa porta il solito fazzolettone che le ricopre i capelli. Anche la figlia più grande, Meriam, indossa una veste simile a quella della madre; lei però porta i jeans sotto il vestito .
Ricordiamo insieme, ridendo, i tempi lontani in cui ci siamo conosciute. Volevo insegnarle l’italiano. La nostra lingua era, però, per Jamila una cosa incomprensibile, era arabo, potrei dire con una battuta. Non riusciva a pronunziare nessuna parola, si mostrava completamente restia all’apprendimento, anche di cose molto semplici, e rideva divertita ad ogni mio qualsiasi serio tentativo d’istruzione.
Le sue difficoltà non erano però solo per l’uso dell’italiano. Jamila sconosceva gli elettrodomestici, non aveva mai visto un aspirapolvere o il “mocio” per lavare i pavimenti. Era venuta in Italia, giovane sposa,per stare insieme al marito e, ospiti presso una famiglia amica, dormiva su un materasso posto a terra. Jamila era allora incinta e disposta ad affrontare qualsiasi difficoltà pur di stare con il marito. Dopo la nascita della sua prima figlia, che fece nascere in Tunisia e là la lasciò per quasi tredici anni, si diede da fare per contribuire all’esiguo bilancio familiare, (il marito, Salah, faceva saltuari lavori in campagna) inserendosi nel quadro delle possibilità di lavoro offerte dal nostro contesto.
Imparò a fare i lavori domestici ed a frequentare le case di alcune signore della città. <<>>. La sua casa, con il tempo, è divenuta molto più confortevole e, anche se modesta, si è arricchita di elettrodomestici .Un grosso freezer troneggia in cucina come simbolo del raggiunto benessere. Nel freezer Jamila conserva il pesce che il marito porta a casa dopo i tre o quattro mesi che trascorre sul mare a bordo dei pescherecci. La fatica è tanta, lo stipendio irrisorio. Quando la pesca va bene, sono settecento cinquanta euro al mese.
Cancellato il progetto di ritorno definitivo alla terra di origine, Jamila e Salah hanno riportato in Italia le due figlie maggiori che avevano fatto crescere in Tunisia,( la terza è sempre rimasta in Italia ed ha studiato in scuole italiane) e si sono insediati stabilmente a Mazara.