giovedì 13 gennaio 2011

UN PO’ DI STORIA DELLA MIA CASA



Nel 1926 un edificio quadrangolare, costruito ai limiti del centro storico con la facciata principale sul Corso più importante di una piccola città siciliana e l’altra in una stradina laterale, fu acquistato da una giovane coppia che sperava di trascorrervi serenamente i suoi giorni. Purtroppo però, le cose non andarono bene per il marito, emigrante in Argentina, che sparì in quel lontano paese senza lasciare traccia. Allora la moglie, donna Ciccina, per vivere, diede in affitto alcuni locali dell’edificio.

Nel pianoterra due artigiani vi impiantarono due case-putia.
La casa-putia, casa con bottega, aveva in passato una doppia funzione: nella stanza che aveva accesso sulla strada si svolgeva il lavoro del proprietario, artigiano o commerciante, mentre le stanze interne servivano come abitazione vera e propria.
Di solito un cortile, curtigghiu, in parte aperto, serviva per l’areazione delle stanze interne e veniva utilizzato da una o più famiglie.
Don Turiddu, catanese di origine, di professione tappezziere, assieme alla moglie, signora Nannina, aveva sistemato casa e bottega nelle due stanze del piano terra. La sua putia serviva anche come spazio abitativo per la famiglia. Molto spesso il catanese lavorava fuori sul marciapiede antistante la casa e i passanti si fermavano e , per riposarsi, si sedevano sulle poltrone scheletriche, che attendevano il loro rivestimento di stoffa damascata.
Due erano gli appartamenti del pianoterra ; in uno vi abitava appunto il tappezziere, nell’altro aveva impiantato la sua putia mastro Ciccio, soprannominato Trumbatorta . Di professione faceva lo stagnino o stagnataro.

Non si riusciva a capire quanti anni avesse mastro Ciccio Trumbatorta, nè si conosceva il suo vero cognome; forse la sua età era compresa fra i cinquanta e i sessanta anni, ma certamente mostrava più anni di quanti effettivamente ne avesse. Aveva baffetti neri con qualche pelo già bianco e capelli unti di brillantina di un colore indefinibile.
Se ne stava tutto il giorno seduto davanti al suo banchetto di stagnino o stagnataro e, mentre riparava pentole e coperchi, raccontava gli ultimi avvenimenti.
Dalla sua putia passavano le storie di tutti i mazaresi, ricchi e poveri, uomini e donne, giovani e vecchi.
Mastro Ciccio conosceva e sapeva parlare di tutti, aveva un fiuto speciale per le novità, sapeva intuire la notizia nascosta dietro alle chiacchiere della gente e, districandosi in mezzo alle dicerie, sapeva azzeccare la soluzione più plausibile e veritiera.
Ascoltare i suoi pettegolezzi e le sue storie era come leggere un giornale ed era opinione comune che nessun cronista avrebbe potuto conoscere tanti dettagli sui personaggi del tempo.

Il piccolo cortile della casa, principalmente adoperato come cucina e lavanderia dagli abitanti del piano terra, aveva una grossa pila scura di marmo nel centro della parete, mentre nella zona coperta c’era un focolari e un cantaru, cioè una specie di gabinetto all’aperto.
Quando i componenti delle due famiglie si trovavano ad utilizzare lu cantaru, dovevano badare bene a tenere chiusa con una mano la porta d’ingresso del cortile, perchè si poteva correre il rischio di farsi scoprire con le vesti per aria da chi apriva di botto la porta.
Gli odori intensi di carbone, escrementi e cibo cotto che caratterizzavano questo ambiente sono rimasti assorbiti nelle vecchie mura e ancora, prestando attenzione e servendomi di un pizzico di nostalgia, mi sembra di avvertirne l’ odore. Uno degli odori della mia infanzia.