IL TAVOLINO A TRE PIEDI
Era tondo e ben piazzato su tre piedi il tavolino che Lina si apprestava ad interrogare. Il colore era quello del legno grezzo, non molto lavorato nè trattato con vernici , un colore che passava dal marrone chiaro allo scuro intenso a causa di certe macchie tendenti a formare strane chiazze.
Chi si soffermava a guardarle, queste chiazze, credeva di scorgere disegni, figure, immagini, cose insomma che ognuno poteva interpretare a proprio piacere.
Il tavolino era diventato tutt’uno con Lina. Lei lo curava, lo spolverava, lo metteva all’ombra d’estate quando il sole caldo entrava dalla finestra e sembrava volesse bruciare i poveri arredi della casa, lo sistemava a suo modo e l’interrogava. Faceva delle domande e il tavolino si affrettava a risponderle.
Sembrava avesse una vita propria. Si animava, scricchiolava, si sollevava su un piede, su due piedi, dava ripetuti colpetti o taceva dispettosamente, obbedendo quasi agli ordini di un oscuro interno manovratore che era in grado di comunicare con Lina.
Alla donna bastava poggiare i polpastrelli delle dita sulla superficie del tavolo per avere delle risposte ben precise su eventi e situazioni.
Nei difficili anni del dopoguerra un tavolino a tre piedi poteva essere considerato fonte di notizie; le lettere dei soldati in guerra non arrivavano o, se arrivavano, mostravano i segni della censura, intere righe ricoperte da nero inchiostro. La gente continuava ad interrogarsi sullo stato di salute dei parenti lontani, cercava di sapere qualcosa sulla guerra, se stava per finire o se avrebbe causato altri guai e, soprattutto, desiderava conoscere quando ci sarebbe stato il ritorno alla normalità.
Munnu è e munnu ha statu.
Dopo le tribolazioni, arriva sempre il momento della tregua e in un periodo in cui le comunicazioni erano ridotte al minimo, solo l’aldilà sembrava in grado di dare delle risposte.
Con chi comunicava Linua e quale spirito faceva animare un semplice tavolinu a tre piedi?
Era meglio non sapere.
martedì 25 ottobre 2011
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