sabato 30 aprile 2016

L'isola

L'ISOLA Non riesco proprio a capire come mai mi trovo qui, in un posto sconosciuto, lontano da casa mia. Cosa ci faccio in quest'isola disabitata in mezzo all'oceano ? Mi guardo attorno alla ricerca di qualcosa a cui aggrapparmi, una piccola cosa che mi permetta di uscire dallo stato di non-ricordo in cui forzatamente mi trovo e che mi dia qualche speranza. Forse, di tutto ciò che avevo prima, mi è rimasta una sola cosa: la mia intelligenza. Mi guardo le mani, le muovo per sgranchirle un po' e avverto una luce dorata che, partendo dalle punte delle dita, volteggia leggiadramente nell'aria fino a disperdersi sulla superficie del mare. Mi perdo dietro quest'immagine fantastica. Forse, rifletto, mi trovo in quello che comunemente viene definito aldilà e questa è l'isola dell'attesa. E' strano, non avverto completamente gli stimoli della fame o della sete, potrei starmene così per sempre, sostenuta solo da un leggero respiro . Mi distendo comodamente sulla spiaggia e attendo. Di fronte a me c'è il mare . Le onde s'infrangono leggere e spumeggianti sulla riva e si portano dietro tutta la forza che le ha spinte a muoversi da un punto imprecisato dell'oceano. L'ombra proiettata da maestosi alberi tropicali sembra proteggermi dalle insidie che potrebbero nascondersi nell'interno dell'isola. Mi giro a guardare . C'è qualcosa sotto l'albero. Strisciando sulla sabbia, per non faticare ad alzarmi, arrivo a toccare una piccola cassa di legno. Sembra la cassa del tesoro di antichi pirati . E' strano, però! Ci sono intarsiate le mie iniziali: M.G.V. Si apre facilmente, non c'è neanche un lucchetto. Dentro, solo poche cose: una penna, un foglio di carta, una bottiglia. Ecco cosa potrei fare: scrivere un messaggio e inviarlo nella bottiglia. E se, invece, Qualcuno dall'alto ha stabilito che dovrò rimanere per sempre nell'isola? Mi viene in mente un programma televisivo di qualche tempo fa: L'Isola dei famosi. In un'isola, apparentemente disabitata, un gruppo di personaggi famosi cercava di sopravvivere alla meglio. Le telecamere registravano tutti i loro movimenti. Qui però non c'è alcuna telecamera, sono completamente sola. Vediamo un po' se mi riesce di scrivere. Si, ce la faccio. Manderò un messaggio in bottiglia. A chi? Metto in moto la mia intelligenza o, per lo meno, quello che è rimasto della me di prima. La bottiglia con il mio messaggio solcherà le onde e raggiungerà la persona a cui vorrò inviarla. Prendo in mano la penna, sistemo bene il foglio di carta sulle gambe e incomincio a scrivere. Cara figlia mai nata, ho scelto te come destinataria del mio messaggio, te che non sei riuscita a vedere la luce dopo i nove mesi di attesa dentro di me. La tua condizione di non nascita somiglia a questa mia condizione di non morte. Se ci sei, se ti trovi da qualche parte in questa infinita creazione fantastica, sappi che sulla terra, il luogo in cui non sei riuscita a vedere la luce, non si sta poi tanto male. Vi si trascorre un arco di tempo più o meno lungo, da bambini ad adulti, e s'invecchia facendo esperienza di una vasta gamma di sensazioni e sentimenti. La chiamiamo vita, cara Manuela, quella che tu non hai potuto sperimentare. Chissà se un giorno ti sarà concesso di viverla! Se ti succederà, cara la mia bambina, ricordati di venirmi a trovare nella città siciliana dove ho vissuto io, la tua madre mancata. Cercami nelle strade, nelle case , nel lungomare e respira la stessa aria che ho respirato per più di sessanta anni. Cerca la mia anima e mi troverai giovane e felice di vivere come lo ero quando attendevo la tua venuta. Affido il messaggio in questa bottiglia e attendo una risposta.

I segreti del materasso rosa

I segreti del materasso rosa Ero una bambina curiosa e assetata di esperienze. Capivo che il mondo degli adulti era affascinante e complesso e mi piaceva osservarlo mentre con la fantasia amavo dare vita alle cose e costruire storie, nella convinzione che oggetti e persone avessero una loro vita nascosta tutta da scoprire. Fu così che, per la mia insaziabile curiosità, riuscii a scoprire da bambina il grande segreto che aveva segnato la vita della cara zia Nicoletta, sorella della nonna. Pochi conoscevano la verità, gli adulti ai quali chiedevo qualcosa mi rispondevano in modo vago, la stessa zia che mi voleva molto bene accennava qualche mezza frase e poi taceva. Zia Nicoletta aveva avuto due mariti, il primo era morto d’infarto in giovane età, il secondo era morto di vecchiaia. Anna, la figlia, era cresciuta con la madre e il secondo marito, ma da chi era stata generata veramente ? Sentivo che doveva esserci un segreto nascosto perché i cognomi dei componenti la famiglia erano tutti diversi fra loro, c’era qualcosa che non andava, ma come scoprire la verità? Quando morì il secondo marito della zia, la mamma mi disse che non si poteva lasciare dormire da sola la povera zia Nicoletta e che sarebbe stato mio compito farle compagnia. Accettai con entusiasmo, pensando che mi era offerta l’occasione di carpire dei segreti e conoscere meglio la storia familiare, ammantata di mistero, della zia. Così, a dieci anni, ogni pomeriggio salutavo la mamma e i miei chiassosi fratellini ed entravo in un’altra orbita familiare, quella della zia. Tutto era per me affascinante e misterioso. Mi attraeva soprattutto il frusciante lettone matrimoniale, in cui dormivo in compagnia della cara vecchietta. Ricordo ancora la nera testata in ferro battuto decorata da conchiglie colorate, i quattro grossi sostegni di ferro detti “trispi”su cui poggiavano le tavole di legno ben allineate ed i due materassi di lana di colore rosa. Io sprofondavo nel mio soffice materasso rosa e mi lasciavo voluttuosamente avvolgere come da un caldo abbraccio. Avvertivo il forte profumo di pecora, di campi, di spighe di grano, profumo di lenzuola lavate a fatica nella grossa pila di pietra che troneggiava giù nell’entrata, proprio sotto la scala e che era utilizzata dagli abitanti della casa. Profumo di” liscivia”, detersivo che costava poche lire venduto in un sacchetto bianco di carta trasparente. Profumo di saponetta Palmolive usata dalla zia, profumo di carbonella che serviva a riscaldare il letto, quando nelle sere d’inverno non avevamo il coraggio di infilarci sotto le fredde coperte ed aspettavamo che il grosso recipiente di rame detto” braciera “ con la carbonella accesa assolvesse il suo compito. Il materasso era un mio grande e robusto amico pronto ad accogliermi con il suo tepore. Dalla nicchia che pian piano costruivo con piccoli e accorti movimenti del corpo, con la testa sprofondata nel cuscino di soffice lana, osservavo la zia che si svestiva e si rivestiva per la notte. Un rito segreto, semplici gesti di donna che non ha fretta, paga di quello che ha, contenta di avere trascorso una giornata tranquilla, senza stress, senza fatica. Sbottonava ad uno ad uno i bottoni del suo vestito nero e lentamente lo tirava su , attenta a non far sciogliere prima del tempo la sua crocchia di capelli tenuta su da forcine di tartaruga. Guardavo con gli occhi semichiusi i suoi movimenti, la vedevo rivestirsi con una camicia da notte di grossa flanella, una sciarpa di lana, calze da notte e in testa una cuffia bianca che le dava un aspetto da monaca. Poi sprofondava anche lei nel materasso rosa. Udivo il suo dimenarsi per conquistare la forma che più le si confaceva, il suo tirarsi dietro i lembi della pesante camicia poi un clic ed era buio. La zia si muoveva ancora un pò, indugiava nell’attesa, dava modo di abituarmi al buio profondo e ai pochi rumori che venivano dalla strada. Qualche passante che camminava lesto lasciava l’eco dei suoi tacchi di cuoio insieme ai colpi di tosse e agli schiarimenti di voce, i gatti si rincorrevano, i cani mandavano suoni cupi e lontani, il mistero della notte prevaleva su ogni cosa. Non era ancora l’ora di dormire. Accoccolata nel soffice abbraccio del materasso rosa, aspettavo con impazienza che la zia mi parlasse della sua vita. Ma lei era molto reticente. Mi diceva di pregare per le anime dei defunti, anche per quelli che si erano comportati male durante la loro vita, poi la sua voce a poco a poco perdeva tono, diventava un leggero bisbiglio e, all’ultimo amen, ero pronta ad addormentarmi serenamente nel piccolo abitacolo del materasso rosa. Un giorno, rifacendo il letto insieme alla zia, mi accorsi che, ad un certo punto del materasso, in un angolo laterale, si notava uno strano rigonfiamento, come se ci fossero delle carte fruscianti nascoste all’interno. Guardai bene e scoprii una tasca interna di forma quadrangolare, dello stesso colore della stoffa del materasso, una tasca segreta chiusa da piccoli bottoni automatici. Fui presa da morbosa curiosità. Volevo scoprire i segreti del materasso rosa, sicura che avrei potuto ricostruire la storia giovanile della zia; dovevo, con un pretesto, rimanere in casa da sola. Un giorno, era il periodo pasquale e in chiesa erano arrivati dei predicatori per celebrare la quaresima, dissi che avevo molti compiti da fare e non avrei potuto accompagnare in chiesa la zia, promisi che non avrei aperto la porta a nessuno e così fui libera di dedicarmi alla misteriosa ricerca. Ricordo perfettamente come mi batteva forte il cuore quando sollevai coperte e lenzuola per arrivare alla tasca segreta del materasso rosa. Aprii i bottoncini e infilai la mano nella tasca. Ne tirai fuori carte ingiallite, vecchie buste profumate, cartoline, foto, documenti, certificati medici. Le lettere, tutte profumate e scritte da mano femminili, erano indirizzate al primo marito della zia, un signore dai baffi arricciati e dallo sguardo malizioso di cui trovai una vecchia ed ingiallita foto . Erano lettere d’amore, parlavano di baci ardenti e d’ incontri di piacere. Non capivo esattamente tutto ma ebbi la conferma dei tradimenti dello zio Calogero e della mancanza di rispetto nei riguardi della moglie, di cui mi parlava spesso la zia. Poi lessi di un bambino che doveva nascere da lì a poco. La donna che aveva scritto la lettera voleva sapere come doveva comportarsi nel momento della nascita e se era pronta la somma di denaro. In un’altra lettera la stessa donna diceva che la bambina, la piccola Anna, era già nata . Poi, in un bigliettino, era fissato un giorno per la consegna della piccola Anna, febbraio 1915; si diceva che “la picciridda” sarebbe stata portata a Mazara da una donna di fiducia. Trovai anche il certificato di battesimo della piccola Anna, che aveva un cognome leggermente diverso da quello di Calogero, (c’era una D al posto di due R)mentre la madre risultava ignota. Madrina della piccola era stata la zia Nicoletta. Ecco scoperto il segreto della zia! La figlia non era sua, ma era stata acquistata dietro compenso dal suo primo marito, il quale però non aveva voluto dare il suo cognome per intero ma, chissà per quale motivo, aveva voluto modificarlo. La madre della piccola era anonima. Tra le carte trovai anche il certificato di morte di Calogero ed infine un nuovo certificato di matrimonio. In un certificato medico si attestava la presenza di una malattia infettiva trasmessa in seguito a rapporti sessuali, malattia molto grave che necessitava di un urgente intervento. Era troppo per le mie capacità di analisi e ragionamento! Mi affrettai a mettere tutto a posto ed a chiudere la tasca segreta nascosta nel materasso rosa. La sera, quando andammo a dormire, guardai la zia con altri occhi. Il suo segreto la faceva diventare tenera e vulnerabile, piccola creatura che aveva lottato con donne fatali e mostruose e con mali incurabili e subdoli. “Zia,- le dissi quella sera- vuoi bene alla zia Anna?” “Certo! - mi rispose - è mia figlia!”