Ero una bambina curiosa ed assetata di esperienze. Capivo che il mondo degli adulti era affascinante e complesso e mi piaceva osservarlo mentre con la fantasia amavo dare vita alle cose ed a costruire storie, nella convinzione che oggetti e persone avessero una loro vita nascosta tutta da scoprire.
Fu così che, per la mia insaziabile curiosità, riuscii a scoprire da bambina il grande segreto che aveva segnato la vita della cara zia Nicoletta, sorella della nonna.
Pochi conoscevano la verità, gli adulti a cui chiedevo qualcosa mi rispondevano in modo vago, la stessa zia che mi voleva molto bene accennava qualche mezza frase e poi taceva.
Zia Nicoletta aveva avuto due mariti, il primo era morto d’infarto in giovane età, il secondo era morto di vecchiaia. Anna, la figlia, era cresciuta con la madre ed il secondo marito, ma da chi era stata generata veramente ?
Sentivo che doveva esserci un segreto nascosto per il fatto che i cognomi dei componenti la famiglia erano tutti diversi fra loro, c’era qualcosa che non andava, ma come scoprire la verità?
Quando morì il secondo marito della zia , la mamma mi disse che non si poteva lasciare dormire da sola la povera zia Nicoletta e che sarebbe stato mio compito farle compagnia. Accettai con entusiasmo, pensando che mi era offerta l’occasione di carpire dei segreti e conoscere meglio la storia familiare, ammantata di mistero, della zia.
Così, a dieci anni, ogni pomeriggio salutavo la mamma ed i miei chiassosi fratellini ed entravo in un’altra orbita familiare, quella della zia.
Tutto era per me affascinante e misterioso. Mi attraeva soprattutto il frusciante lettone matrimoniale, in cui dormivo in compagnia della cara vecchietta.
Ricordo ancora la nera testata in ferro battuto decorata da conchiglie colorate, i quattro grossi sostegni di ferro detti “trispi”su cui poggiavano le tavole di legno ben allineate ed i due materassi di lana di colore rosa .
Io sprofondavo nel mio soffice materasso rosa e mi lasciavo voluttuosamente avvolgere come da un caldo abbraccio.
Avvertivo il forte profumo di pecora, di campi, di spighe di grano, profumo di lenzuola lavate a fatica nella grossa pila di pietra che troneggiava giù nell’entrata, proprio sotto alla scala e che era utilizzata dagli abitanti della casa. Profumo di” liscivia”, detersivo che costava poche lire e che era venduto in un sacchetto bianco di carta trasparente.
Profumo di saponetta Palmolive usata dalla zia, profumo di carbonella che serviva a riscaldare il letto, quando nelle sere d’inverno non avevamo il coraggio di infilarci sotto le fredde coperte ed aspettavamo che il grosso recipiente di rame detto” braciera “ con la carbonella accesa assolvesse il suo compito.
Il materasso era un mio grande e robusto amico pronto ad accogliermi con il suo tepore.
Dalla nicchia che pian piano costruivo con piccoli ed accorti movimenti del corpo, con la testa sprofondata nel cuscino di soffice lana, osservavo la zia che si svestiva e si rivestiva per la notte. Un rito segreto, semplici gesti di donna che non ha fretta, paga di quello che ha, contenta di avere trascorso una giornata tranquilla, senza stress, senza fatica. Sbottonava ad uno ad uno i bottoni del suo vestito nero e lentamente lo tirava su , attenta a non far sciogliere prima del tempo la sua crocchia di capelli tenuta su da forcine di tartaruga.
Guardavo con gli occhi semichiusi i suoi movimenti, la vedevo rivestirsi con una camicia da notte di grossa flanella, una sciarpa di lana, calze da notte e in testa una cuffia bianca che le dava un aspetto da monaca.
Poi sprofondava anche lei nel materasso rosa. Udivo il suo dimenarsi per conquistare la forma che più le si confaceva, il suo tirarsi dietro i lembi della pesante camicia poi un clic ed era buio.
La zia si muoveva ancora un pò, indugiava nell’attesa, dava modo di abituarmi al buio profondo ed ai pochi rumori che venivano dalla strada. Qualche passante che camminava lesto lasciava l’eco dei suoi tacchi di cuoio insieme ai colpi di tosse ed agli schiarimenti di voce, i gatti si rincorrevano, i cani mandavano suoni cupi e lontani, il mistero della notte prevaleva su ogni cosa.
Non era ancora l’ora di dormire. Accoccolata nel soffice abbraccio del materasso rosa aspettavo con impazienza che la zia mi parlasse della sua vita.
“Come si comportava con te lo zio Calogero?” chiedevo, pur conoscendo già la risposta. Con molta reticenza , lei accennava alla mancanza di rispetto nei suoi riguardi da parte del primo marito e poi passava subito a decantare le lodi di Antonio, il suo secondo consorte.
“Tua figlia Anna -allora ero pronta a replicare - è nata quando eri sposata con Calogero o con Antonio?” Silenzio, la zia non voleva rispondermi.
Non mi arrendevo ancora. Volevo sapere perché lo zio Calogero aveva un cognome che somigliava a quello di Anna ma non era proprio uguale , insistevo a chiedere ma non avevo mai risposte precise.
La zia mi diceva di pregare per le anime dei defunti, anche per quelli che si erano comportati male durante la loro vita, poi la sua voce a poco a poco perdeva tono, diventava un leggero bisbiglio e, all’ultimo amen, ero pronta ad addormentarmi serenamente nel piccolo abitacolo del materasso rosa.
Un giorno, rifacendo il letto insieme alla zia, mi accorsi che ad un certo punto del materasso, in un angolo laterale, si notava uno strano rigonfiamento, come se ci fossero delle carte fruscianti nascoste all’interno. Guardai bene e vidi che c’era una tasca interna di forma quadrangolare, dello stesso colore della stoffa del materasso, una tasca segreta chiusa da piccoli bottoni automatici.
Fui presa da una morbosa curiosità. Volevo scoprire i segreti del materasso rosa perchè ero sicura che nel suo interno avrei trovato la soluzione del mistero ed avrei potuto ricostruire la storia giovanile della zia; dovevo, con un pretesto, rimanere in casa da sola.
Un giorno, era il periodo pasquale ed in chiesa erano arrivati dei predicatori per celebrare la quaresima, dissi che avevo molti compiti da fare e non avrei potuto accompagnare in chiesa la zia, promisi che non avrei aperto la porta a nessuno e così fui libera di dedicarmi alla misteriosa ricerca.
Ricordo perfettamente come mi batteva forte il cuore quando sollevai coperte e lenzuola per arrivare alla tasca segreta del materasso rosa. Aprii i bottoncini ed infilai la mano nella tasca. Ne tirai fuori carte ingiallite, vecchie buste profumate, cartoline, foto, documenti, certificati medici.
Le lettere, tutte profumate e scritte da mano femminili, erano indirizzate al primo marito della zia, un signore dai baffi arricciati e dallo sguardo malizioso di cui trovai una vecchia ed ingiallita foto .
Erano lettere d’amore, parlavano di baci ardenti e di incontri di piacere. Non capivo esattamente tutto ma ebbi la conferma dei tradimenti dello zio Calogero e della mancanza di rispetto nei suoi riguardi di cui mi parlava spesso la zia. Poi lessi di un bambino che doveva nascere da lì a poco.
La donna della lettera voleva sapere come doveva comportarsi nel momento della nascita e se lui era disposto a prendere il bambino, dietro compenso di una certa somma di denaro. In un’altra lettera la stessa donna diceva che la bambina, la piccola Anna, era già nata ed occorrevano subito dei denari. Poi, in un bigliettino, era fissato un giorno per la consegna della piccola Anna, febbraio 1915; si diceva che “la picciridda” sarebbe stata portata a Mazara da una donna di fiducia. Trovai anche il certificato di battesimo della piccola Anna, che aveva un cognome leggermente diverso da quello di Calogero, (c’era una D al posto di due R)mentre la madre risultava ignota. Madrina della piccola era stata la zia Nicoletta.
Ecco scoperto il segreto della zia! La figlia non era sua, ma era stata acquistata dietro compenso dal suo primo marito, il quale però non aveva voluto dare il suo cognome per intero ma, chissà per quale motivo, aveva voluto modificarlo. La madre della piccola era anonima. Tra le carte trovai anche il certificato di morte per infarto di Calogero ed infine un nuovo certificato di matrimonio.
Qualcosa però mi diede modo di riflettere su un ulteriore mistero.
In un certificato medico si attestava in Nicoletta la presenza di una malattia infettiva trasmessa in seguito a rapporti sessuali, malattia molto grave che necessitava di un urgente intervento. Era troppo per le mie capacità di analisi e ragionamento! D’altra parte, avevo soddisfatto le mie curiosità e ricostruito, almeno in parte, la misteriosa storia della zia Nicoletta!
Mi affrettai a mettere tutto a posto ed a chiudere la tasca segreta nascosta nel materasso rosa.
La sera, quando andammo a dormire, guardai la zia con altri occhi. Il suo segreto la faceva diventare tenera e vulnerabile, piccola creatura che aveva lottato con donne fatali e mostruose e con mali incurabili e subdoli. Capii che la figlia, avuta dietro compenso di denaro, era stata accolta da lei con amore. Mi resi conto che l’amore permette il superamento di qualsiasi difficoltà e che la vita stessa è capace di risolvere situazioni che sembrano insanabili.
“Zia,- le dissi quella sera- vuoi bene alla zia Anna?” “Certo! - mi rispose - è mia figlia!”
Molti anni più tardi riuscii a conoscere per intero la storia della zia Nicoletta.
In quel periodo avevo chiesto inutilmente che fine avesse fatto il letto matrimoniale in cui avevo trascorso parte della mia adolescenza. La casa della zia era stata venduta, i vecchi mobili erano stati dati via o trasferiti a Palermo in casa della figlia,dove la zia Nicoletta si era trasferita.
Ero una giovane ancora molto curiosa, attratta dalle tradizioni popolari e sempre alla ricerca di vecchie credenze e storie del passato. Frequentavo a Palermo la facoltà di Lettere e per lunghi periodi soggiornavo in casa di Anna, figlia della zia Nicoletta.
Un giorno, eravamo sole in casa io e la vecchia zia, sentendo di aver ritrovato con lei la familiarità di tanti anni prima, le chiesi all’improvviso che fine avessero fatto le carte che erano custodite nella tasca interna del materasso rosa. La zia sobbalzò. Nessuno conosceva a fondo la verità , come facevo a sapere della tasca ricavata nel materasso? Poi sorrise perché mi conosceva bene e sapeva che non mi sfuggiva mai nulla. Mi rispose che aveva bruciato le vecchie carte alcuni anni prima, perché nessuno doveva sapere che Anna non era la sua vera figlia.
Si trattava di una storia lontana, qualcosa che non le apparteneva più ; mi fece giurare che non avrei raccontato mai a nessuno le cose che stava per dirmi perché sarebbe stato uno sgarbo nei confronti della figlia che, a tutti gli effetti, faceva parte della famiglia. Seduta su uno sgabellino ai suoi piedi, per molti pomeriggi, approfittando dell’assenza della zia Anna , mi fermavo ad ascoltare affascinata i suoi stralci di vita vissuta.
Agli inizi del ‘900, il giovane Calogero era un facoltoso commerciante . La sua bottega, situata nel centro storico di Mazara, era molto conosciuta in città e tanti erano i clienti che facevano la spesa e si fermavano a scambiare due chiacchiere con il proprietario del negozio. Grossi sacchi di caffè si trovavano all’entrata , bidoni pieni di olio, pasta, riso ed ogni bene di Dio. Gli affari prosperavano ed il giovane Calogero, dai modi signorili ed educati, faceva strage di cuori femminili. Il giovane commerciante aveva un solo difetto: amava le donne, proprio tutte, tanto che per soddisfare le sue insaziabili voglie aveva cominciato a frequentare dei locali un po’ strani, case appartate, dette “case chiuse”, come ce n’erano in città prima che una legge le togliesse di mezzo.
Calogero amava gli odori, i profumi, i tappeti, le decorazioni di questo tipo di locali e si divertiva a cambiare le ragazze ed a giocare con loro.
In seguito ad incontri di questo genere Calogero si prese una brutta malattia, “male francese”, così veniva chiamato nelle nostre zone.
Egli si fece curare da un amico dottore e non raccontò a nessuno cosa gli era capitato. Solo il dottore sapeva e proprio lui gli sconsigliò di sposarsi perché, con la sua brutta infezione, avrebbe rovinato qualche brava ragazza.
Calogero però non ascoltò il suo medico : voleva trovare una brava moglie ed accasarsi, anche per dare rispettabilità ai suoi affari.
In un periodo di stasi della malattia, mandò a chiamare donna Peppina. Era costei una sensale di matrimoni, una donna capace di trovare la moglie giusta a qualunque uomo,una comare chiacchierona e pettegola che sapeva sempre i fatti di tutti. Conosceva certamente la fama di dongiovanni di Calogero, era amica di alcune tenutarie di case di appuntamenti e le capitava spesso di vedere le ragazze affacciate alle finestre. Donna Peppina non aveva nulla da perdere a parlare con questo tipo di ragazze, era avanti con gli anni e nessuno avrebbe sparlato di lei.
Entrando ed uscendo dai cortili del centro storico ,recandosi a trovare le brave famiglie della città e chiacchierando con questo e con quello, aveva in mente ben chiara la situazione matrimoniale delle giovani e dei giovani mazaresi.
Era giunto il tempo di trovare un buon partito per Nicoletta, allora diciassettenne; brava ragazza, seria e timorata di Dio, sarebbe stata un’ottima moglie e madre. La mamma di Nicoletta gestiva un negozietto di alimentari, era vedova con tre figli, due femmine ed un maschio. Al figlio maschio, Andrea, di professione barbiere, capofamiglia dopo la morte del padre, toccava il compito di accasare le sorelle .
Un bravo giovane di nome Antonio, di professione agricoltore, aveva messo gli occhi addosso a Nicoletta ma, per timidezza, non trovava mai il coraggio di farsi avanti; aspettava di sistemare meglio le sue cose, c’erano i campi da arare, la semina, la raccolta. Per il matrimonio c’era tempo.
Calogero fu più lesto di Antonio. Disse alla sensale che voleva conoscere al più presto Nicoletta, poi andò a trovare Andrea nel suo salone di barbiere.
Il fratello di Nicoletta, tutto preso dalla sua responsabilità di accasare le due sorelle, si sentì onorato della richiesta di Calogero e, pur conoscendone la fama di dongiovanni, pensò che erano cose superabili e che Nicoletta certamente, con un marito commerciante, avrebbe fatto una vita da signora.
Nessuno chiese il parere di Nicoletta, segretamente innamorata di Antonio; i parenti decisero per lei. Ci sarebbe stato al più presto un fidanzamento ufficiale e sarebbero state celebrate le nozze entro tre mesi.
In città molti ricordarono per qualche tempo lo sfarzo di quel matrimonio, celebrato di notte, come si soleva fare. Un corteo di amici e parenti accompagnò in chiesa la sposa che dava il braccio al fratello Andrea, visibilmente emozionato.
Finita la cerimonia,al mattino presto, ci fu colazione di latte e biscotti, dolci, cannoli con la ricotta, ogni ben di Dio.
Antonio, l’innamorato segreto, quel giorno non andò in campagna a lavorare. Chiuso in casa, ascoltava le voci festose dei bambini che giocavano per strada e malediceva la sua timidezza e il suo senso del dovere. Nicoletta ora era chiusa in casa con quel volpone di Calogero mentre lui era rimasto da solo con i suoi sogni ed il suo stramaledetto bisogno di avere tutto a posto, prima di fare un passo decisivo.
Per tre giorni gli sposi rimasero chiusi in casa. La mamma di Nicoletta portava il pranzo e la cena , lasciava il fagotto nell’entrata ed andava via lesta lesta, non volendo disturbare gli sposi.
Nicoletta, che non aveva assolutamente idea della vita matrimoniale, perse la sua verginità ma, cosa per lei molto grave, perse anche la salute perché contrasse subito la brutta infezione di cui il marito era affetto.
Non volle più avere contatti con il marito. Tutta presa dai suoi problemi di salute, si coricava la sera nel nuovo lettone matrimoniale e si girava dall’altra parte .Calogero aveva fatto il furbo ed ora che si arrangiasse!
Quando la madre disse al figliolo Andrea che Nicoletta aveva problemi di salute, ci furono forti discussioni fra i due uomini. Calogero diceva di non sapere cosa fosse successo alla moglie, anzi era lei che si rifiutava di assolvere ai suoi obblighi matrimoniali. Andrea però lo afferrò per il colletto della camicia e gli disse che non doveva più permettersi di toccare sua sorella, anzi era suo obbligo accompagnarla dal dottore e farla curare!
Così Nicoletta dovette subire la grossa umiliazione dell’intervento all’utero. L’operazione fu fatta in casa, con la presenza dell’ostetrica di fiducia e del dottore che continuava a ripetere: “glielo avevo detto, glielo avevo detto!….”
Nicoletta, per un certo tempo, non ebbe più voglia di vivere. Odiava Calogero, lo spiava e cercava di conoscere le sue mosse, i suoi spostamenti, la vita insomma che l’uomo conduceva fuori casa tra il negozio, gli affari e gli incontri con altre donne .
In una tasca segreta ricavata all’interno di un materasso del letto matrimoniale aveva cominciato a nascondere alcune cose. Qualche soldo caduto dalle tasche dei pantaloni del marito, i biglietti delle rappresentazioni teatrali, le lettere, le cose un po’ dubbie che trovava in casa e che Calogero, sempre sicuro di sé, non si premurava neanche di fare sparire.
In quanto a lui, continuò a fare la vita di sempre. Bei vestiti,bastoni e cappelli, amicizie femminili ed incontri galanti erano il suo pane quotidiano.
Nicoletta sapeva e soffriva, si sentiva tradita come moglie e come donna. L’avevano dato in pasto al lupo ed il lupo non aveva avuto per lei il minimo rispetto. Leggeva le lettere ed i bigliettini profumati che altre donne inviavano al marito e pensava che prima o poi Dio l’avrebbe aiutata a risolvere i suoi problemi perché lei aveva sempre pregato ed il Signore sa come aiutare chi prega con cuore sincero.
La povera donna sentiva fortemente il desiderio di diventare mamma, soprattutto da quando aveva saputo che la sorella Francesca, sposa da pochi mesi, era in attesa del primo figlio. Lei non avrebbe potuto godere delle gioie della maternità per colpa di quell’uomo sporcaccione che le avevano fatto sposare!
Pensava e ripensava a come fare ad avere un figlio tutto per lei ed alla fine si convinse che avrebbe chiesto a Calogero di accontentarla.
Una mattina, prima che Calogero andasse via come al solito per ritornare a sera inoltrata, prese il coraggio a due mani e parlò al marito come non aveva mai fatto fino ad allora. Gli disse che lei voleva un figlio e che non importava il modo, che si arrangiasse a trovarlo con qualunque mezzo. Calogero cadde dalle nuvole . “A che ti serve un figlio? – le disse - non vedi che stai sempre male?”. Ma Nicoletta gli fece notare che, se stava male, era solo per colpa di lui e che un bambino sarebbe stata una benedizione per la loro famiglia. Solo così avrebbe potuto perdonarlo, gli disse ancora, altrimenti l’avrebbe maledetto in eterno.
Calogero allora si diede da fare per accontentare la giovane moglie. Venne a sapere, nella sua bottega, che una donna di Castelvetrano faceva dei figli quasi ogni anno e li vendeva al migliore offerente. Così cercò di contattare la donna e seppe che era già incinta e che stava aspettando delle offerte.
Le trattative si svolsero alla svelta; i soldi, almeno quella volta, furono utilizzati per una buona causa e soprattutto per mettere a tacere la famiglia di Nicoletta che parlava male di Calogero e non voleva più avere a che fare con lui. In quanto a Nicoletta, dopo aver saputo che c’era un bimbo in arrivo, cominciò a preparare il corredino ed a sistemare la casa, come se era lei la donna che doveva partorire. La sorella aveva intanto dato alla luce un bel maschietto e, guardando quell’esserino, pensava che anche per lei da lì a poco ci sarebbe stato il miracolo di una vita.
Un bel giorno,( Nicoletta non avrebbe mai dimenticato l’attesa di quel mese di novembre!) Calogero arrivò in casa sventolando un bigliettino. “E’ una fimmina ! nascì una fimminedda! “ gridava nel portone di casa.
Nicoletta fu presa da frenesia; la voleva subito in casa, la bambina era la sua. Pensava che la sorella avrebbe potuto allattarla lei, non c’era motivo di perdere tempo. Così, dopo le ultime consegne di denaro, una signora sconosciuta, infagottata in uno scialle nero, bussò alla porta di casa. Era mattino presto, tutti dormivano, solo Nicoletta era rimasta in attesa tutta la notte. Il tocco leggero alla porta la fece sobbalzare. Chiamò Calogero e si vestì alla svelta.“La picciridda!” diceva, “stannu purtannu la picciridda!” Calogero si tirò fuori con gli occhi ancora chiusi dall’incavo che aveva formato nel materasso durante la notte, prese i pantaloni dalla sedia, li infilò sui pesanti mutandoni di lana e corse ad aprire la porta.
Alla luce indistinta del giorno non ancora sorto, vide una donna avvolta in un grande scialle nero. Sotto lo scialle si muoveva un esserino avvolto in stracci, era la piccola Anna. Nicoletta la stappò di mano alla donna, la prese in braccio e le scoprì subito il viso. Era la figlia che aveva desiderato. Quando si accorse che la piccola era bagnata ed aveva le labbra nere per il freddo, non potè fare a meno di notare che purtroppo “Lu Signori duna lu pani a chi non havi li denti!”, come per dire che una madre snaturata aveva avuto il privilegio di avere quella bella bambina, mentre lei era rimasta priva della facoltà di procreare.
Quando, dopo qualche mese, la sorella perse il bambino a causa di una brutta polmonite, Nicoletta ebbe il coraggio di dire che non era una cosa tanto grave perché Francesca avrebbe potuto generare ancora altri figli, invece per lei la bambina era l’unica cosa bella della sua vita.
Da quel giorno in poi Calogero cambiò. Niente più uscite serali, niente più assenze da casa nei giorni festivi, sembrava che la “picciridda” fosse in grado di soddisfare in pieno tutti i suoi bisogni d’evasione.
Anna cresceva circondata da affetto,insieme alla zia Francesca che le aveva dato il suo latte fino a due anni, ai cuginetti che man mano si univano alla famiglia, agli zii ed alla vecchia nonna. Solo in pochi conoscevano la verità e gli adulti non la raccontavano di certo ai giovani.
Anna aveva cinque anni quando Calogero morì all’improvviso. “Per colpa dei suoi vizi!” disse Nicoletta. La morte fu vista come una conseguenza della vita disordinata che l’uomo aveva condotto fino ad allora.
Nicoletta non pianse per molto la morte del marito. Indossò vestiti neri, mise il lutto alla porta, ma solo per pochi mesi. Dentro di sé era contenta della fine di quel matrimonio, meno male che c’era la bambina!
Di nuovo toccò al fratello Andrea il compito di sistemare le cose di Nicoletta. Provvide a vendere il negozio, pagò i debiti e decise che la vedovanza non poteva durare per molto tempo, perché Calogero non era stato un bravo marito.
Era giunto per Antonio il momento di farsi avanti. Aveva aspettato di prendere moglie e sistemarsi perché Nicoletta era l’unica ragazza che aveva nella testa e per tanti anni ne aveva spiato l’ infelicità. Andrea fu contento della richiesta di matrimonio di quel bravo giovane che era Antonio, finalmente Nicoletta avrebbe avuto una persona sicura su cui contare.
Senza indugio, si decisero le nuove nozze.
Nicoletta volle che Antonio sapesse che lei aveva seri problemi di carattere ginecologico e nessuna possibilità di avere dei figli, ma ad Antonio andava bene così.
Il suo amore per Nicoletta superava ogni limite, voleva vivere con lei e darle un po’ di serenità. In quanto alla bambina, disse a Nicoletta che per lui era già sua figlia e che l’avrebbe cresciuta con l’amore di un vero padre.
Celebrate le nozze, Antonio si trasferì insieme al cavallo, al carretto ed a tutti i suoi arnesi da contadino nella casa dove Nicoletta aveva vissuto con Calogero.
Il lavoro in campagna cominciò ad avere un altro sapore; Antonio tornava a casa la sera con il carretto e chiamava dalla strada la sua Nicoletta. Annituzza, la bambina, gli correva incontro e gli si buttava fra le braccia . Lui le dava le nespole, le ciliegie, il grappolino d’uva e le diceva di andare a chiamare la mamma perché c’era la verdura da portare su.
Anna cresceva bene, era una cara figliola, bella ed educata, affettuosa con i parenti, dai modi garbati e signorili. Sapeva di essere figlia del primo marito della madre e che Antonio non era il suo vero padre, ma la mamma era la sua e quella non gliela toglieva nessuno. Aveva già quindici anni ed era proprio una bella signorina quando, mentre si trovava a passare insieme ad una cugina per una via piuttosto malfamata del centro storico, una donna le si avvicinò e gentilmente le disse che era molto bella e che somigliava in tutto alle sue sorelle. Quali sorelle? Anna la guardò storto. La donna le disse che lei era la figlia di una sua parente e che, se voleva, avrebbe potuto farle conoscere la sua vera madre, le sorelle ed i fratelli. Anna scappò a casa piangendo. La madre fu costretta a dirle la verità per come era capace di fare,con mezze parole e sguardi che volevano trasmetterle tutto il bene del mondo, le disse che lei non aveva potuto avere figli e che Calogero, per accontentarla, aveva voluto generarla con un’altra donna. Non le disse di averla comprata, ma le fece credere che era figlia di un amore segreto del marito. Però, disse Nicoletta, Antonio meritava ogni rispetto perché era lui che l’aveva cresciuta.
Anna da quel momento in poi non volle parlare più delle sue origini. Decise in cuor suo che era figlia di Nicoletta ed Antonio e non le interessava altro.
Nutrì sempre grande rispetto per i suoi genitori e prese con sé la vecchia madre quando questa, rimasta vedova, non potè più vivere da sola.
Per tutti i novantatre anni della sua lunga vita non volle mai sapere nulla della madre naturale e dei probabili fratelli o sorelle, né parlò mai con qualcuno della sua storia.
Il racconto dei fatti di quei lontani anni di primo novecento vuole essere una mia testimonianza di affetto nei riguardi di Nicoletta ed Anna, due donne eccezionali con le quali ho convissuto per lunghi tratti della mia vita.
Fu così che, per la mia insaziabile curiosità, riuscii a scoprire da bambina il grande segreto che aveva segnato la vita della cara zia Nicoletta, sorella della nonna.
Pochi conoscevano la verità, gli adulti a cui chiedevo qualcosa mi rispondevano in modo vago, la stessa zia che mi voleva molto bene accennava qualche mezza frase e poi taceva.
Zia Nicoletta aveva avuto due mariti, il primo era morto d’infarto in giovane età, il secondo era morto di vecchiaia. Anna, la figlia, era cresciuta con la madre ed il secondo marito, ma da chi era stata generata veramente ?
Sentivo che doveva esserci un segreto nascosto per il fatto che i cognomi dei componenti la famiglia erano tutti diversi fra loro, c’era qualcosa che non andava, ma come scoprire la verità?
Quando morì il secondo marito della zia , la mamma mi disse che non si poteva lasciare dormire da sola la povera zia Nicoletta e che sarebbe stato mio compito farle compagnia. Accettai con entusiasmo, pensando che mi era offerta l’occasione di carpire dei segreti e conoscere meglio la storia familiare, ammantata di mistero, della zia.
Così, a dieci anni, ogni pomeriggio salutavo la mamma ed i miei chiassosi fratellini ed entravo in un’altra orbita familiare, quella della zia.
Tutto era per me affascinante e misterioso. Mi attraeva soprattutto il frusciante lettone matrimoniale, in cui dormivo in compagnia della cara vecchietta.
Ricordo ancora la nera testata in ferro battuto decorata da conchiglie colorate, i quattro grossi sostegni di ferro detti “trispi”su cui poggiavano le tavole di legno ben allineate ed i due materassi di lana di colore rosa .
Io sprofondavo nel mio soffice materasso rosa e mi lasciavo voluttuosamente avvolgere come da un caldo abbraccio.
Avvertivo il forte profumo di pecora, di campi, di spighe di grano, profumo di lenzuola lavate a fatica nella grossa pila di pietra che troneggiava giù nell’entrata, proprio sotto alla scala e che era utilizzata dagli abitanti della casa. Profumo di” liscivia”, detersivo che costava poche lire e che era venduto in un sacchetto bianco di carta trasparente.
Profumo di saponetta Palmolive usata dalla zia, profumo di carbonella che serviva a riscaldare il letto, quando nelle sere d’inverno non avevamo il coraggio di infilarci sotto le fredde coperte ed aspettavamo che il grosso recipiente di rame detto” braciera “ con la carbonella accesa assolvesse il suo compito.
Il materasso era un mio grande e robusto amico pronto ad accogliermi con il suo tepore.
Dalla nicchia che pian piano costruivo con piccoli ed accorti movimenti del corpo, con la testa sprofondata nel cuscino di soffice lana, osservavo la zia che si svestiva e si rivestiva per la notte. Un rito segreto, semplici gesti di donna che non ha fretta, paga di quello che ha, contenta di avere trascorso una giornata tranquilla, senza stress, senza fatica. Sbottonava ad uno ad uno i bottoni del suo vestito nero e lentamente lo tirava su , attenta a non far sciogliere prima del tempo la sua crocchia di capelli tenuta su da forcine di tartaruga.
Guardavo con gli occhi semichiusi i suoi movimenti, la vedevo rivestirsi con una camicia da notte di grossa flanella, una sciarpa di lana, calze da notte e in testa una cuffia bianca che le dava un aspetto da monaca.
Poi sprofondava anche lei nel materasso rosa. Udivo il suo dimenarsi per conquistare la forma che più le si confaceva, il suo tirarsi dietro i lembi della pesante camicia poi un clic ed era buio.
La zia si muoveva ancora un pò, indugiava nell’attesa, dava modo di abituarmi al buio profondo ed ai pochi rumori che venivano dalla strada. Qualche passante che camminava lesto lasciava l’eco dei suoi tacchi di cuoio insieme ai colpi di tosse ed agli schiarimenti di voce, i gatti si rincorrevano, i cani mandavano suoni cupi e lontani, il mistero della notte prevaleva su ogni cosa.
Non era ancora l’ora di dormire. Accoccolata nel soffice abbraccio del materasso rosa aspettavo con impazienza che la zia mi parlasse della sua vita.
“Come si comportava con te lo zio Calogero?” chiedevo, pur conoscendo già la risposta. Con molta reticenza , lei accennava alla mancanza di rispetto nei suoi riguardi da parte del primo marito e poi passava subito a decantare le lodi di Antonio, il suo secondo consorte.
“Tua figlia Anna -allora ero pronta a replicare - è nata quando eri sposata con Calogero o con Antonio?” Silenzio, la zia non voleva rispondermi.
Non mi arrendevo ancora. Volevo sapere perché lo zio Calogero aveva un cognome che somigliava a quello di Anna ma non era proprio uguale , insistevo a chiedere ma non avevo mai risposte precise.
La zia mi diceva di pregare per le anime dei defunti, anche per quelli che si erano comportati male durante la loro vita, poi la sua voce a poco a poco perdeva tono, diventava un leggero bisbiglio e, all’ultimo amen, ero pronta ad addormentarmi serenamente nel piccolo abitacolo del materasso rosa.
Un giorno, rifacendo il letto insieme alla zia, mi accorsi che ad un certo punto del materasso, in un angolo laterale, si notava uno strano rigonfiamento, come se ci fossero delle carte fruscianti nascoste all’interno. Guardai bene e vidi che c’era una tasca interna di forma quadrangolare, dello stesso colore della stoffa del materasso, una tasca segreta chiusa da piccoli bottoni automatici.
Fui presa da una morbosa curiosità. Volevo scoprire i segreti del materasso rosa perchè ero sicura che nel suo interno avrei trovato la soluzione del mistero ed avrei potuto ricostruire la storia giovanile della zia; dovevo, con un pretesto, rimanere in casa da sola.
Un giorno, era il periodo pasquale ed in chiesa erano arrivati dei predicatori per celebrare la quaresima, dissi che avevo molti compiti da fare e non avrei potuto accompagnare in chiesa la zia, promisi che non avrei aperto la porta a nessuno e così fui libera di dedicarmi alla misteriosa ricerca.
Ricordo perfettamente come mi batteva forte il cuore quando sollevai coperte e lenzuola per arrivare alla tasca segreta del materasso rosa. Aprii i bottoncini ed infilai la mano nella tasca. Ne tirai fuori carte ingiallite, vecchie buste profumate, cartoline, foto, documenti, certificati medici.
Le lettere, tutte profumate e scritte da mano femminili, erano indirizzate al primo marito della zia, un signore dai baffi arricciati e dallo sguardo malizioso di cui trovai una vecchia ed ingiallita foto .
Erano lettere d’amore, parlavano di baci ardenti e di incontri di piacere. Non capivo esattamente tutto ma ebbi la conferma dei tradimenti dello zio Calogero e della mancanza di rispetto nei suoi riguardi di cui mi parlava spesso la zia. Poi lessi di un bambino che doveva nascere da lì a poco.
La donna della lettera voleva sapere come doveva comportarsi nel momento della nascita e se lui era disposto a prendere il bambino, dietro compenso di una certa somma di denaro. In un’altra lettera la stessa donna diceva che la bambina, la piccola Anna, era già nata ed occorrevano subito dei denari. Poi, in un bigliettino, era fissato un giorno per la consegna della piccola Anna, febbraio 1915; si diceva che “la picciridda” sarebbe stata portata a Mazara da una donna di fiducia. Trovai anche il certificato di battesimo della piccola Anna, che aveva un cognome leggermente diverso da quello di Calogero, (c’era una D al posto di due R)mentre la madre risultava ignota. Madrina della piccola era stata la zia Nicoletta.
Ecco scoperto il segreto della zia! La figlia non era sua, ma era stata acquistata dietro compenso dal suo primo marito, il quale però non aveva voluto dare il suo cognome per intero ma, chissà per quale motivo, aveva voluto modificarlo. La madre della piccola era anonima. Tra le carte trovai anche il certificato di morte per infarto di Calogero ed infine un nuovo certificato di matrimonio.
Qualcosa però mi diede modo di riflettere su un ulteriore mistero.
In un certificato medico si attestava in Nicoletta la presenza di una malattia infettiva trasmessa in seguito a rapporti sessuali, malattia molto grave che necessitava di un urgente intervento. Era troppo per le mie capacità di analisi e ragionamento! D’altra parte, avevo soddisfatto le mie curiosità e ricostruito, almeno in parte, la misteriosa storia della zia Nicoletta!
Mi affrettai a mettere tutto a posto ed a chiudere la tasca segreta nascosta nel materasso rosa.
La sera, quando andammo a dormire, guardai la zia con altri occhi. Il suo segreto la faceva diventare tenera e vulnerabile, piccola creatura che aveva lottato con donne fatali e mostruose e con mali incurabili e subdoli. Capii che la figlia, avuta dietro compenso di denaro, era stata accolta da lei con amore. Mi resi conto che l’amore permette il superamento di qualsiasi difficoltà e che la vita stessa è capace di risolvere situazioni che sembrano insanabili.
“Zia,- le dissi quella sera- vuoi bene alla zia Anna?” “Certo! - mi rispose - è mia figlia!”
Molti anni più tardi riuscii a conoscere per intero la storia della zia Nicoletta.
In quel periodo avevo chiesto inutilmente che fine avesse fatto il letto matrimoniale in cui avevo trascorso parte della mia adolescenza. La casa della zia era stata venduta, i vecchi mobili erano stati dati via o trasferiti a Palermo in casa della figlia,dove la zia Nicoletta si era trasferita.
Ero una giovane ancora molto curiosa, attratta dalle tradizioni popolari e sempre alla ricerca di vecchie credenze e storie del passato. Frequentavo a Palermo la facoltà di Lettere e per lunghi periodi soggiornavo in casa di Anna, figlia della zia Nicoletta.
Un giorno, eravamo sole in casa io e la vecchia zia, sentendo di aver ritrovato con lei la familiarità di tanti anni prima, le chiesi all’improvviso che fine avessero fatto le carte che erano custodite nella tasca interna del materasso rosa. La zia sobbalzò. Nessuno conosceva a fondo la verità , come facevo a sapere della tasca ricavata nel materasso? Poi sorrise perché mi conosceva bene e sapeva che non mi sfuggiva mai nulla. Mi rispose che aveva bruciato le vecchie carte alcuni anni prima, perché nessuno doveva sapere che Anna non era la sua vera figlia.
Si trattava di una storia lontana, qualcosa che non le apparteneva più ; mi fece giurare che non avrei raccontato mai a nessuno le cose che stava per dirmi perché sarebbe stato uno sgarbo nei confronti della figlia che, a tutti gli effetti, faceva parte della famiglia. Seduta su uno sgabellino ai suoi piedi, per molti pomeriggi, approfittando dell’assenza della zia Anna , mi fermavo ad ascoltare affascinata i suoi stralci di vita vissuta.
Agli inizi del ‘900, il giovane Calogero era un facoltoso commerciante . La sua bottega, situata nel centro storico di Mazara, era molto conosciuta in città e tanti erano i clienti che facevano la spesa e si fermavano a scambiare due chiacchiere con il proprietario del negozio. Grossi sacchi di caffè si trovavano all’entrata , bidoni pieni di olio, pasta, riso ed ogni bene di Dio. Gli affari prosperavano ed il giovane Calogero, dai modi signorili ed educati, faceva strage di cuori femminili. Il giovane commerciante aveva un solo difetto: amava le donne, proprio tutte, tanto che per soddisfare le sue insaziabili voglie aveva cominciato a frequentare dei locali un po’ strani, case appartate, dette “case chiuse”, come ce n’erano in città prima che una legge le togliesse di mezzo.
Calogero amava gli odori, i profumi, i tappeti, le decorazioni di questo tipo di locali e si divertiva a cambiare le ragazze ed a giocare con loro.
In seguito ad incontri di questo genere Calogero si prese una brutta malattia, “male francese”, così veniva chiamato nelle nostre zone.
Egli si fece curare da un amico dottore e non raccontò a nessuno cosa gli era capitato. Solo il dottore sapeva e proprio lui gli sconsigliò di sposarsi perché, con la sua brutta infezione, avrebbe rovinato qualche brava ragazza.
Calogero però non ascoltò il suo medico : voleva trovare una brava moglie ed accasarsi, anche per dare rispettabilità ai suoi affari.
In un periodo di stasi della malattia, mandò a chiamare donna Peppina. Era costei una sensale di matrimoni, una donna capace di trovare la moglie giusta a qualunque uomo,una comare chiacchierona e pettegola che sapeva sempre i fatti di tutti. Conosceva certamente la fama di dongiovanni di Calogero, era amica di alcune tenutarie di case di appuntamenti e le capitava spesso di vedere le ragazze affacciate alle finestre. Donna Peppina non aveva nulla da perdere a parlare con questo tipo di ragazze, era avanti con gli anni e nessuno avrebbe sparlato di lei.
Entrando ed uscendo dai cortili del centro storico ,recandosi a trovare le brave famiglie della città e chiacchierando con questo e con quello, aveva in mente ben chiara la situazione matrimoniale delle giovani e dei giovani mazaresi.
Era giunto il tempo di trovare un buon partito per Nicoletta, allora diciassettenne; brava ragazza, seria e timorata di Dio, sarebbe stata un’ottima moglie e madre. La mamma di Nicoletta gestiva un negozietto di alimentari, era vedova con tre figli, due femmine ed un maschio. Al figlio maschio, Andrea, di professione barbiere, capofamiglia dopo la morte del padre, toccava il compito di accasare le sorelle .
Un bravo giovane di nome Antonio, di professione agricoltore, aveva messo gli occhi addosso a Nicoletta ma, per timidezza, non trovava mai il coraggio di farsi avanti; aspettava di sistemare meglio le sue cose, c’erano i campi da arare, la semina, la raccolta. Per il matrimonio c’era tempo.
Calogero fu più lesto di Antonio. Disse alla sensale che voleva conoscere al più presto Nicoletta, poi andò a trovare Andrea nel suo salone di barbiere.
Il fratello di Nicoletta, tutto preso dalla sua responsabilità di accasare le due sorelle, si sentì onorato della richiesta di Calogero e, pur conoscendone la fama di dongiovanni, pensò che erano cose superabili e che Nicoletta certamente, con un marito commerciante, avrebbe fatto una vita da signora.
Nessuno chiese il parere di Nicoletta, segretamente innamorata di Antonio; i parenti decisero per lei. Ci sarebbe stato al più presto un fidanzamento ufficiale e sarebbero state celebrate le nozze entro tre mesi.
In città molti ricordarono per qualche tempo lo sfarzo di quel matrimonio, celebrato di notte, come si soleva fare. Un corteo di amici e parenti accompagnò in chiesa la sposa che dava il braccio al fratello Andrea, visibilmente emozionato.
Finita la cerimonia,al mattino presto, ci fu colazione di latte e biscotti, dolci, cannoli con la ricotta, ogni ben di Dio.
Antonio, l’innamorato segreto, quel giorno non andò in campagna a lavorare. Chiuso in casa, ascoltava le voci festose dei bambini che giocavano per strada e malediceva la sua timidezza e il suo senso del dovere. Nicoletta ora era chiusa in casa con quel volpone di Calogero mentre lui era rimasto da solo con i suoi sogni ed il suo stramaledetto bisogno di avere tutto a posto, prima di fare un passo decisivo.
Per tre giorni gli sposi rimasero chiusi in casa. La mamma di Nicoletta portava il pranzo e la cena , lasciava il fagotto nell’entrata ed andava via lesta lesta, non volendo disturbare gli sposi.
Nicoletta, che non aveva assolutamente idea della vita matrimoniale, perse la sua verginità ma, cosa per lei molto grave, perse anche la salute perché contrasse subito la brutta infezione di cui il marito era affetto.
Non volle più avere contatti con il marito. Tutta presa dai suoi problemi di salute, si coricava la sera nel nuovo lettone matrimoniale e si girava dall’altra parte .Calogero aveva fatto il furbo ed ora che si arrangiasse!
Quando la madre disse al figliolo Andrea che Nicoletta aveva problemi di salute, ci furono forti discussioni fra i due uomini. Calogero diceva di non sapere cosa fosse successo alla moglie, anzi era lei che si rifiutava di assolvere ai suoi obblighi matrimoniali. Andrea però lo afferrò per il colletto della camicia e gli disse che non doveva più permettersi di toccare sua sorella, anzi era suo obbligo accompagnarla dal dottore e farla curare!
Così Nicoletta dovette subire la grossa umiliazione dell’intervento all’utero. L’operazione fu fatta in casa, con la presenza dell’ostetrica di fiducia e del dottore che continuava a ripetere: “glielo avevo detto, glielo avevo detto!….”
Nicoletta, per un certo tempo, non ebbe più voglia di vivere. Odiava Calogero, lo spiava e cercava di conoscere le sue mosse, i suoi spostamenti, la vita insomma che l’uomo conduceva fuori casa tra il negozio, gli affari e gli incontri con altre donne .
In una tasca segreta ricavata all’interno di un materasso del letto matrimoniale aveva cominciato a nascondere alcune cose. Qualche soldo caduto dalle tasche dei pantaloni del marito, i biglietti delle rappresentazioni teatrali, le lettere, le cose un po’ dubbie che trovava in casa e che Calogero, sempre sicuro di sé, non si premurava neanche di fare sparire.
In quanto a lui, continuò a fare la vita di sempre. Bei vestiti,bastoni e cappelli, amicizie femminili ed incontri galanti erano il suo pane quotidiano.
Nicoletta sapeva e soffriva, si sentiva tradita come moglie e come donna. L’avevano dato in pasto al lupo ed il lupo non aveva avuto per lei il minimo rispetto. Leggeva le lettere ed i bigliettini profumati che altre donne inviavano al marito e pensava che prima o poi Dio l’avrebbe aiutata a risolvere i suoi problemi perché lei aveva sempre pregato ed il Signore sa come aiutare chi prega con cuore sincero.
La povera donna sentiva fortemente il desiderio di diventare mamma, soprattutto da quando aveva saputo che la sorella Francesca, sposa da pochi mesi, era in attesa del primo figlio. Lei non avrebbe potuto godere delle gioie della maternità per colpa di quell’uomo sporcaccione che le avevano fatto sposare!
Pensava e ripensava a come fare ad avere un figlio tutto per lei ed alla fine si convinse che avrebbe chiesto a Calogero di accontentarla.
Una mattina, prima che Calogero andasse via come al solito per ritornare a sera inoltrata, prese il coraggio a due mani e parlò al marito come non aveva mai fatto fino ad allora. Gli disse che lei voleva un figlio e che non importava il modo, che si arrangiasse a trovarlo con qualunque mezzo. Calogero cadde dalle nuvole . “A che ti serve un figlio? – le disse - non vedi che stai sempre male?”. Ma Nicoletta gli fece notare che, se stava male, era solo per colpa di lui e che un bambino sarebbe stata una benedizione per la loro famiglia. Solo così avrebbe potuto perdonarlo, gli disse ancora, altrimenti l’avrebbe maledetto in eterno.
Calogero allora si diede da fare per accontentare la giovane moglie. Venne a sapere, nella sua bottega, che una donna di Castelvetrano faceva dei figli quasi ogni anno e li vendeva al migliore offerente. Così cercò di contattare la donna e seppe che era già incinta e che stava aspettando delle offerte.
Le trattative si svolsero alla svelta; i soldi, almeno quella volta, furono utilizzati per una buona causa e soprattutto per mettere a tacere la famiglia di Nicoletta che parlava male di Calogero e non voleva più avere a che fare con lui. In quanto a Nicoletta, dopo aver saputo che c’era un bimbo in arrivo, cominciò a preparare il corredino ed a sistemare la casa, come se era lei la donna che doveva partorire. La sorella aveva intanto dato alla luce un bel maschietto e, guardando quell’esserino, pensava che anche per lei da lì a poco ci sarebbe stato il miracolo di una vita.
Un bel giorno,( Nicoletta non avrebbe mai dimenticato l’attesa di quel mese di novembre!) Calogero arrivò in casa sventolando un bigliettino. “E’ una fimmina ! nascì una fimminedda! “ gridava nel portone di casa.
Nicoletta fu presa da frenesia; la voleva subito in casa, la bambina era la sua. Pensava che la sorella avrebbe potuto allattarla lei, non c’era motivo di perdere tempo. Così, dopo le ultime consegne di denaro, una signora sconosciuta, infagottata in uno scialle nero, bussò alla porta di casa. Era mattino presto, tutti dormivano, solo Nicoletta era rimasta in attesa tutta la notte. Il tocco leggero alla porta la fece sobbalzare. Chiamò Calogero e si vestì alla svelta.“La picciridda!” diceva, “stannu purtannu la picciridda!” Calogero si tirò fuori con gli occhi ancora chiusi dall’incavo che aveva formato nel materasso durante la notte, prese i pantaloni dalla sedia, li infilò sui pesanti mutandoni di lana e corse ad aprire la porta.
Alla luce indistinta del giorno non ancora sorto, vide una donna avvolta in un grande scialle nero. Sotto lo scialle si muoveva un esserino avvolto in stracci, era la piccola Anna. Nicoletta la stappò di mano alla donna, la prese in braccio e le scoprì subito il viso. Era la figlia che aveva desiderato. Quando si accorse che la piccola era bagnata ed aveva le labbra nere per il freddo, non potè fare a meno di notare che purtroppo “Lu Signori duna lu pani a chi non havi li denti!”, come per dire che una madre snaturata aveva avuto il privilegio di avere quella bella bambina, mentre lei era rimasta priva della facoltà di procreare.
Quando, dopo qualche mese, la sorella perse il bambino a causa di una brutta polmonite, Nicoletta ebbe il coraggio di dire che non era una cosa tanto grave perché Francesca avrebbe potuto generare ancora altri figli, invece per lei la bambina era l’unica cosa bella della sua vita.
Da quel giorno in poi Calogero cambiò. Niente più uscite serali, niente più assenze da casa nei giorni festivi, sembrava che la “picciridda” fosse in grado di soddisfare in pieno tutti i suoi bisogni d’evasione.
Anna cresceva circondata da affetto,insieme alla zia Francesca che le aveva dato il suo latte fino a due anni, ai cuginetti che man mano si univano alla famiglia, agli zii ed alla vecchia nonna. Solo in pochi conoscevano la verità e gli adulti non la raccontavano di certo ai giovani.
Anna aveva cinque anni quando Calogero morì all’improvviso. “Per colpa dei suoi vizi!” disse Nicoletta. La morte fu vista come una conseguenza della vita disordinata che l’uomo aveva condotto fino ad allora.
Nicoletta non pianse per molto la morte del marito. Indossò vestiti neri, mise il lutto alla porta, ma solo per pochi mesi. Dentro di sé era contenta della fine di quel matrimonio, meno male che c’era la bambina!
Di nuovo toccò al fratello Andrea il compito di sistemare le cose di Nicoletta. Provvide a vendere il negozio, pagò i debiti e decise che la vedovanza non poteva durare per molto tempo, perché Calogero non era stato un bravo marito.
Era giunto per Antonio il momento di farsi avanti. Aveva aspettato di prendere moglie e sistemarsi perché Nicoletta era l’unica ragazza che aveva nella testa e per tanti anni ne aveva spiato l’ infelicità. Andrea fu contento della richiesta di matrimonio di quel bravo giovane che era Antonio, finalmente Nicoletta avrebbe avuto una persona sicura su cui contare.
Senza indugio, si decisero le nuove nozze.
Nicoletta volle che Antonio sapesse che lei aveva seri problemi di carattere ginecologico e nessuna possibilità di avere dei figli, ma ad Antonio andava bene così.
Il suo amore per Nicoletta superava ogni limite, voleva vivere con lei e darle un po’ di serenità. In quanto alla bambina, disse a Nicoletta che per lui era già sua figlia e che l’avrebbe cresciuta con l’amore di un vero padre.
Celebrate le nozze, Antonio si trasferì insieme al cavallo, al carretto ed a tutti i suoi arnesi da contadino nella casa dove Nicoletta aveva vissuto con Calogero.
Il lavoro in campagna cominciò ad avere un altro sapore; Antonio tornava a casa la sera con il carretto e chiamava dalla strada la sua Nicoletta. Annituzza, la bambina, gli correva incontro e gli si buttava fra le braccia . Lui le dava le nespole, le ciliegie, il grappolino d’uva e le diceva di andare a chiamare la mamma perché c’era la verdura da portare su.
Anna cresceva bene, era una cara figliola, bella ed educata, affettuosa con i parenti, dai modi garbati e signorili. Sapeva di essere figlia del primo marito della madre e che Antonio non era il suo vero padre, ma la mamma era la sua e quella non gliela toglieva nessuno. Aveva già quindici anni ed era proprio una bella signorina quando, mentre si trovava a passare insieme ad una cugina per una via piuttosto malfamata del centro storico, una donna le si avvicinò e gentilmente le disse che era molto bella e che somigliava in tutto alle sue sorelle. Quali sorelle? Anna la guardò storto. La donna le disse che lei era la figlia di una sua parente e che, se voleva, avrebbe potuto farle conoscere la sua vera madre, le sorelle ed i fratelli. Anna scappò a casa piangendo. La madre fu costretta a dirle la verità per come era capace di fare,con mezze parole e sguardi che volevano trasmetterle tutto il bene del mondo, le disse che lei non aveva potuto avere figli e che Calogero, per accontentarla, aveva voluto generarla con un’altra donna. Non le disse di averla comprata, ma le fece credere che era figlia di un amore segreto del marito. Però, disse Nicoletta, Antonio meritava ogni rispetto perché era lui che l’aveva cresciuta.
Anna da quel momento in poi non volle parlare più delle sue origini. Decise in cuor suo che era figlia di Nicoletta ed Antonio e non le interessava altro.
Nutrì sempre grande rispetto per i suoi genitori e prese con sé la vecchia madre quando questa, rimasta vedova, non potè più vivere da sola.
Per tutti i novantatre anni della sua lunga vita non volle mai sapere nulla della madre naturale e dei probabili fratelli o sorelle, né parlò mai con qualcuno della sua storia.
Il racconto dei fatti di quei lontani anni di primo novecento vuole essere una mia testimonianza di affetto nei riguardi di Nicoletta ed Anna, due donne eccezionali con le quali ho convissuto per lunghi tratti della mia vita.
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