giovedì 5 aprile 2012

l'attesa

L’ATTESA



Madonna santissima di lu Paradisu, facitimillu veniri sanu e salvu! Santu Vitu, San Micheli gloriusu, aiutatilu vui !

Le novene, i rosari, le suppliche, le offerte, non si contavano.
L’attesa era divenuta ormai un’abitudine di vita per donna Ciccina. Anni dopo anni ad attendere il marito scomparso nel nulla in Argentina, visioni, profezie ricerche di contatti con un’aldilà nebuloso, pieno di spiriti che cercavano di mandare messaggi ai viventi.
A questa attesa, che era stata fondamentale nella sua vita, se ne era poi aggiunta un’altra. Il figlio Peppino, partito da casa a sedici anni per inseguire il sogno del Duce, era stato dichiarato disperso in guerra. Interi mesi senza notizie.
Per lei c’era pure l’angoscia dei sogni ricorrenti, quelli in cui vedeva il figlio sul mare, su una zattera di legno, solo e bisognoso d’aiuto. L’acqua era putrida e nera, simile a quella dove era sparito il suo uomo!
Seduta diritta sulla sedia impagliata sistemata vicino al balcone, con le mani in continuo movimento per un lavoro di rete su cui la figlia avrebbe eseguito dei ricami, donna Ciccina guardava dietro i vetri il traffico della strada del Corso e attendeva l’arrivo del postino o di chiunque potesse annunciare che il figlio era vivo e stava per tornare.
La grazia gliel’aveva poi fatta San Giuseppe. Non poteva non fargliela.

Cu la dura la vinci.

Donna Ciccina aveva sempre omaggiato il Santo, protettore dei falegnami. Falegname anche lui, proprio come il marito scomparso.
Come si era sentita orgogliosa di questo figlio maschio a cui, il diciannove marzo, per la festa di San Giuseppe, faceva indossare una tunica bianca, che diventava ogni anno sempre più corta!
Gli metteva sulle spalle una mantellina color tabacco e gli preparava un bastone su cui avvolgeva dei fiori di campo. Il bastone fiorito diventava spesso una utile arma di difesa per il bambino che non amava sentirsi criticare dai compagni. Peppino, grazie anche al suo nome, uguale a quello del Santo, recitava la parte di San Giuseppe nella composizione della Sacra famiglia di Nazaret.
Accanto a lui c’era una bimba vestita da Madonna e un altro bimbetto con una tunica blu , il piccolo Gesù. Quando si formava il corteo, mentre lu tamburinaru precedeva annunziando l’arrivo dei tre personaggi sacri, una gran folla festosa accorreva per assistere allo spettacolo. Il sacro corteo, seguito dalla banda dei musicisti che suonavano allegri motivetti, procedeva per le vie del centro con un percorso sempre diverso a seconda delle famiglie che avevano richiesto la grazia del Santo e si erano mostrate disponibili ad offrire un pasto alla Sacra Famiglia.
Come si abbuffava di cibo il suo Peppino! Ritornava a casa con le orecchie rosse infuocate e con grossi involti di cibo. Era festa per tutti!

A quindici anni, aveva detto che voleva imbarcarsi e diventare radiotelegrafista di bordo.
-Mamà, nun ti preoccupari!
E invece le preoccupazioni erano arrivate, altro che!
Per quanto tempo non aveva avuto notizie? Sei o sette mesi , un tempo infinito.
Poi c’era stato l’arrivo del telegramma.
Tina con il foglio giallo fra le mani, aveva chiamato la madre a gran voce rimanendo ferma davanti al portone di casa appoggiata al muro, in preda ad una forte emozione. Finalmente stava per risolversi il mistero del fratello disperso!

Scesero dal secondo piano i vicini di casa, le figlie di donna Ciccina e la nipote Anna; arrivò anche donna Sarina Modica che abitava nella casa di fronte e stava sempre affacciata alla finestra per conoscere le ultime novità. Si radunò davanti alla porta un bel gruppo di gente.
Chi lo apre il telegramma? Chi legge?
Momenti di panico; nessuno voleva prendersi la responsabilità di leggere magari una brutta notizia. Portarono una sedia per donna Ciccina, la fecero sedere sostenendola amorevolmente e finalmente Tina, con le mani tremanti, si accinse a leggere le scarne notizie riportate nel testo.
Tutto bene. Scansato pericolo. Segue lettera.
Peppino era salvo!
La nave su cui il giovane siciliano era imbarcato era stata colpita dai nemici in mare aperto. Erano finiti tutti a mare. Peppino, aggrappato ad un pezzo di legno, aveva trascorso un’intera notte privo di sensi trascinato dalle nere onde. Con le prime luci dell’alba si era svegliato e udito delle voci accanto a lui.
Lasciamolo qui - diceva un tale - buttiamolo a mare e andiamo via. Per questo poveraccio non c’è niente da fare!
Aspetta, aspetta, mi pare che si muove – diceva un altro - è vivo!
Portiamolo sulla nave e vediamo se riesce a riprendersi!
Si era ripreso. Aveva buttato fuori tutta l’acqua del mare che si era accumulata nella pancia, si era sgonfiato ed aveva parlato.
Mamà, mamà, sono salvo!

Si campa e si mori quannu Diu voli.

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