domenica 5 agosto 2012

LA femmina del caffè

LA FEMMINA DEL CAFFE’

Versa lo zucchero nella tazzina, poi meticolosamente poggia il cucchiaino del caffè sul piattino e guarda con golosità il liquido scuro e schiumoso. Quasi ne pregusta il sapore prima di metterlo in bocca. La guardo con affetto e, come al solito mi siedo accanto a lei per carpirle un pezzo della sua vita passata, quella che solo lei conosce e che si porterà dietro quando non ci sarà più.
Mia zia, a novant’anni,mostra ancora un aspetto gradevole. Capelli neri tinti dal parrucchiere, pelle del viso non ancora completamente raggrinzita, dita delle mani sempre spasmodicamente in movimento per esorcizzare incipienti dolori reumatici, sciarpetta colorata al collo e una posizione rilassata sulla poltrona preferita. Anche se ormai vive a Firenze da più di quarant’anni, è una donna profondamente e intimamente siciliana. Le sue origini meridionali sono radicate in lei come una seconda pelle e, per quanti sforzi abbia fatto nel corso degli anni di diventare, come dice lei, una continentale, il suo grado di sicilianità è molto più intenso delle donne sue coetanee rimaste a vivere nell’isola.
Quando comincia a sorseggiare il suo caffè tenendo la tazzina con mano tremolante , mostra un guizzo di vitalità.
<< Novant’anni ho e mi piace ancora “lu cafè”. Tanti sapori oramai me li scordai , non li sento più, e tante cose me le scordo subito, come se non l’avessi mai fatte. Ma il sapore di lu cafè non me lo scordo e manco mi scordo le cose antiche, quelle di quand’ ero picciridda. A quei tempi poche erano nel mio paese le botteghe di generi alimentari , i posti insomma dove si potevano accattari le cose da mangiare. C’erano in giro dei personaggi che vendevano la loro merce per strada, strata strata . Si chiamavano abbanniaturi perché abbanniavano, gridavano e con belle parole cercavano di convincere la gente a scendere in strada e comprare la loro mercanzia. Mi ricordo di quello che vendeva il sale, quello che vendeva il petrolio e lu gelataru , ma la persona che più mi piaceva quand’ero picciridda era la femmina che vendeva caffè.
Si chiamava Assuntina questa femmina e passava per le strade di mattina, quando gli uomini erano già al lavoro e le donne , rimaste in casa, si alzavano le maniche prima di cominciare a svolgere i pesanti lavori domestici. Assuntina si fermava nell’angolo di strada proprio di fronte la mia casa e, mentre aspettava i possibili compratori, cantava questa filastrocca:
Lu me cafè è a zicchiti
fattu di li me manu
viniti a manu a manu
chi sapuritu è!
cafè, cafè!
Correvamo subito noi picciriddi perché la canzoncina ci faceva arruspigliari . >>
Un sorso di caffè, una piccola pausa e la zia si abbandona al ricordo. Le sembra di sentire ancora il sapore del caffè della sua infanzia, lo gusta , lo fa scendere giù in gola insieme ai suoni, agli odori, alle fuggevoli immagini di una vita ormai interamente trascorsa .
<< Il sapore di quel caffè era speciale. Non era il sapore del caffè d’orzo , quello che mia madre al mattino aggiungeva nella tazza del latte . Non mi piaceva né il latte, bollito e ribollito, pieno di panna raggrinzita e quasi sempre uscito fuori dal pentolino e sparso nei fornelli, né quel liquido annacquato che chiamavano caffè. Il caffè di Assuntina era un’altra cosa.
Lei, la femmina del caffè, lo preparava con la sua macchinetta speciale, lo teneva ben caldo in una bottiglia di vetro coperta da un panno e poi andava in giro a vendere la sua mercanzia. Quando abbanniava, passione ci metteva, passione e simpatia.
Assuntina ci viveva con quel caffè. Le poche lire che riusciva a guadagnare ogni mattina le servivano per tirare avanti tutta la giornata. Ogni tanto, in cambio del suo caffè, le donne le regalavano un frutto, delle verdure di campagna, una pagnotta di pane fresco.
Io rimanevo incantata ad ascoltare la sua canzoncina. Avevo cinque o sei anni allora e mi bastava sentire i suoi zoccoli trascinarsi sulla strada per correre a pigliare il bicchierino di vetro riposto nel mobile guarda servizio del salotto e precipitarmi per le scale di corsa. Mia madre mi gridava dietro: “Li soldi li pigliasti?” Poi me li buttava dalla finestra. Io mi avvicinavo ad Assuntina e le dicevo: “ Canta la poesia! Canta accussì arrivanu autri picciriddi ! “ E lei cantava e intanto versava il caffè nei bicchieri. >>
La zia, bambina di novant’anni , beve ancora una sorso di caffè e si ferma per un attimo come per mettere al posto giusto le immagini mentali legate ai suoi ricordi. Intanto prende vita nelle sue parole questo strano personaggio, la femmina del caffè.
<< Mi piaceva sentire la voce di Assuntina e un giorno le chiesi se aveva dei bambini e se preparava per loro il suo caffè.
“ Schetta sugnu- mi rispose – Nun haiu maritu e picciriddi”
Dunque era una donna schetta, non sposata, una zitella , non poteva avere la gioia di avere dei bambini suoi e un marito che si occupava di lei. Non capivo perché non come tutte le donne che allora conoscevo, con un marito e dei figli . Eppure era molto bella. Aveva lunghi capelli ondulati che le scendevano sulle spalle, una carnagione chiara insolita nelle nostre zone e era molto magra, magrissima.
“ Per forza è accussì sicca- dicevano le donne- nun mangia nenti!” Il fatto che non avesse da mangiare mi angustiava molto. Pensavo che una persona che vendeva caffè, che sapeva preparare una cosa tanto buona, non poteva soffrire la fame ! E soffrivo per lei, per Assuntina, la femmina del caffè. >>
Intanto la zia, dopo aver finito di bere con la tazzina tremolante in mano , chiude gli occhi per abbandonarsi al riposo. Anche un semplice ricordo può stancare una novantenne. Io però sono curiosa di conoscere la storia della venditrice di caffè, sapere cosa è successo alla donna qualche tempo dopo, quando anche nella nostra cittadina le famiglie si attrezzarono a fare il caffè con le macchinette apposite.
<< Che vuoi sapere - mi disse la zia- non è una bella storia! La trovarono morta ad Assuntina , nella grotta delle pirrere dove abitava. Femmina sola era e sola morì! >>
<< Ma come- dico allora- nessuno ha voluto aiutarla?>>
<< Che ne sai tu di come si viveva a quei tempi? Tempi brutti erano, tempi brutti! Se una femmina si comportava male con gli uomini o magari se gli uomini se n’ approfittavano , non era più considerata femmina onesta e la gente non si preoccupava di lei. Quando Assuntina perse la possibilità di vendere il suo caffè, fu abbandonata da tutti e morì di fame nella sua grotta fra l’indifferenza dei suoi concittadini. >>
Il ricordo è ormai doloroso e la zia non ha più voglia di riprenderlo. S’addormenta serenamente e, chissà, magari incontra nei suoi sogni la femmina del caffè.

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