mercoledì 14 settembre 2011

Un viaggio

Un viaggio


Ero giovane allora. Giovane ma non tanto da non avvertire nel mio corpo il peso dell’età che avanza. Dopo le gravidanze, i figli, le fatiche proprie della donna che lavora e che deve badare anche alla conduzione del menage domestico avvertivo in me la stanchezza dell’organismo in fase di cambiamento. Un’ incredibile pesantezza alle gambe mi causava molto fastidio e mi impediva di svolgere normalmente le mie giornate. Ricordo che cercavo continuamente del sollievo alzando le gambe sulle sedie e chiedendo scusa a coloro che mi stavano vicino. Anche di notte avvertivo bruciori nelle gambe. Mi alzavo allora e camminavo a piedi nudi per casa cercando sollievo nella frescura del pavimento di ceramica.
Non c’erano medicine o cure che potevano darmi sollievo e così tiravo a campare sperando che il giorno successivo fosse migliore di quello presente.
In quel periodo io e mio marito eravamo molto attivi in parrocchia. Insieme a coppie della nostra età avevamo creato un gruppo di ricerca spirituale e di preghiera e ci sentivamo forti e attivi in parrocchia e in città.
L’amica che ci spronava ad agire in nome della carità cristiana era allora Anna. Rimasta vedova ancora giovane, Anna si era votata interamente al bene e alle opere di carità. Come un fiume in piena ci spingeva ad aiutare i più deboli , ci coinvolgeva con le sue storie di vita e spesso ci trascinava con sé .
Mi disse, ad un certo punto che era tempo che io facessi l’esperienza di Lourdes.
Non posso -dissi subito- ho i bambini da accudire e poi non potrei essere d’ aiuto a nessuno con questo mio dolore alle gambe!
Nessuno però prendeva sul serio i miei problemi fisici. Erano tutti convinti che esageravo nel lamentarmi e che in fondo ero una persona abbastanza forte.
Perché dissi di si? Forse per dimostrare a me stessa e ai miei familiari che anch’io potevo dedicarmi agli altri, a persone che non conoscevo e che avevano bisogno di aiuto. Partii da casa mia con una divisa bianca , con il velo sul capo e con i piedi di piombo. I miei bambini alla stazione aggrappati al padre mi salutarono contenti mentre mia madre mi ripeteva di non preoccuparmi e che avrebbe pensato lei alla mia famiglia.



Il treno bianco che portava i malati a Lourdes era allora un mezzo di trasporto molto complicato. Occorrevano circa due giorni e mezzo di cammino e noi dame di carità insieme ai barellieri dovevamo provvedere a tutti i bisogni dei malati e dei pellegrini.
Nelle cuccette del treno ci alternavamo in due. A turno riposavamo e facevamo servizio nei corridoi del treno. Seduti sul predellino o all’impiedi nel corridoio chiacchieravamo del più e del meno e stringevamo amicizia con fratelli e sorelle di città diverse.
All’ora dei pasti porgevamo ai pellegrini piatti fumanti di pasta asciutta e provvedevamo a trasportare i grossi bidoni di latta pieni di cibo o vuoti da una parte all’altra del vagone.
Arrivati a Lourdes, ci sistemammo in albergo e quindi cominciammo i nostri turni in ospedale.
Da premettere che, in vita mia, non avevo mai avuto occasione di badare a persone malate. Forse ero un po’ viziata o forse per una mia repulsione alla sofferenza e al dolore, mi ero sempre tirata indietro di fronte al malato che soffre. Chi dovetti assistere in quel mio primo viaggio a Lourdes ? un povero signore che non aveva le gambe. Gli erano state tagliate entrambe e si presentava come un mezzo busto. Una statua . Quando lo vidi, rimasi subito colpita, ma pensai opportunamente che poteva fare al caso mio perché sicuramente pesava meno degli altri. Mi terrorizzava il fatto di dover spingere la carrozzella di qualche donna o uomo enorme e di dover sostenere il mio peso e quello di altri. Nino, il poveretto senza gambe si rivelò un tipo simpatico. Rideva dei suoi mali e faceva continue battute su se stesso. Moglie e figli non si occupavano di lui e lì a Lourdes, lontano dal suo ambiente, sembrava rinato. Lo portavo in giro tutto il giorno , portavo in giro la mia statua a mezzo busto e ero sempre la prima ad arrivare. Gli spiegavo le cerimonie religiose, gli raccontavo la storia di Bernadette e dei suoi incontri nella grotta e lo vedevo commosso e contento. Furono sette giorni in cui mi scordai completamente di me stessa e dei miei problemi.
Fu solo quando ritornai a casa che mi ricordai delle mie gambe. “Come te la sei passata con i dolori alle gambe?” mi chiese mia madre. Le gambe. Ebbi un attimo di esitazione. Non mi ero più ricordata di loro e le mie gambe erano guarite dai loro problemi. Nino, l’uomo senza gambe, aveva operato un miracolo.

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