domenica 20 gennaio 2013

TRACCE D'ANTICO

Ma che cosa è una vita se non ce la raccontiamo?" La sala in cui avvengono gli incontri degli iscritti all’Università della terza età è stracolma di gente. Sono donne e uomini sorridenti e disposti all’ascolto, desiderosi di trascorrere parte del pomeriggio in buona compagnia, staccandosi magari dalla televisione, arbitra incontrastata delle nostre vite. E’ quasi tutta gente che conosco; ci incontriamo spesso nelle strade della città, un saluto, un sorriso e ciascuno nel suo mondo. Oggi però il Preside mi chiede di parlare agli studenti della mia personale proposta di lavoro, qualcosa che da semplici ascoltatori possa trasformarli in attivi e capaci ricercatori . Ho già preso i miei appunti e, per rompere il ghiaccio, leggo le tecniche che riguardano la scrittura e l’ispirazione creativa, parlo di una ricerca che si potrebbe realizzare dopo aver definito le coordinate di tempo e spazio e scelto la terminologia da adottare, l’uso delle parole, di proverbi, filastrocche, di espressioni tipiche o di fotografie che potrebbero arricchire la trama narrativa di un lavoro da realizzare insieme. L’uditorio mi sembra indifferente e ancora non motivato. Ripeto che due sono le coordinate importanti: lo spazio e il tempo. Quale spazio? Quello della nostra città, i luoghi in cui ci siamo mossi da bambini e adolescenti. Il tempo? È quello della ricostruzione postbellica, gli anni della speranza e del cambiamento. In quel periodo la nostra città cambia aspetto, si svecchia, cerca di mettersi alla pari di altre città più emancipate grazie anche agli elettrodomestici che entrano nelle nostre case come il frigorifero, la lavatrice e la televisione, oggetti a cui abbiamo fatto presto ad abituarci, così come oggi ci siamo rapidamente abituati all’uso del telefonino e del computer. Esposto il mio progetto, un brusio sempre più intenso si avverte nella sala. C’è chi chiede di intervenire, chi esterna le sue riflessioni al vicino, chi comincia a scuotere la testa sotto il peso dei ricordi. La nostra città, Mazara, e gli anni della giovinezza da rivisitare hanno colpito nel segno. Bene, dico fra me e me, l’uditorio si è mosso. La valanga delle memorie si sta precipitando nella sala, l’aria diventa densa, pesante; ognuno di noi ha creato la sua nuvoletta gravida di vita passata e cerca di scaricarla su chi gli sta accanto. Fisseremo dei punti da cui partire, dico allora nel tentativo di bloccare il crescente brusio, la prossima volta osserveremo la cartina della città e individueremo le abitazioni, la tipologia delle case del centro storico e dell’immediata periferia, i vicoli, i cortili, le strade, le attività artigianali, le botteghe, i luoghi insomma della nostra vita. Ci salutiamo con ampi sorrisi. I corsisti hanno una gran voglia di raccontare ed io avverto in me il giusto entusiasmo per predispormi all’ascolto.

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